Mondo

La vittoria di Bush brucia la Costa d’Avorio

Il presidente Gbagbo è attorniato da un entourage di cristiano-evangelici. Intervista a Jean-Pierre Dozon.

di Joshua Massarenti

Nord contro Sud. Musulmani contro cristiani. La Francia a rischio di perdere la sua ultima roccaforte africana, quella più importante. E gli Stati Uniti pronti a mettere le mani su un?area geopolitica vitale per avviare un predominio geostrategico in Africa occidentale. Così potremmo riassumere il precipizio nel quale si sta avventando la Costa d?Avorio. Dietro a questa chiave di lettura ?immediata?, si sovrappongono altri fattori, storici, sociali e culturali, illustrati a Vita da Jean-Pierre Dozon, antropologo francese dell?Ehess (Ecole des hautes études en sciences sociales) e dell?Ird (Institut de recherche pour le développement), considerato tra i massimi esperti del Paese del cacao. Vita: Professore, la Costa d?Avorio sembra sull?orlo del precipizio. Sorpreso? Jean-Pierre Dozon: Per nulla. Da qualche tempo, la presidenza ivoriana non voleva cedere ai ribelli. In altre parole, rispettare gli accordi di Marcoussis e quelli di Accra che lo avevano costretto a condividere il potere con i ribelli. Non a caso, l?esercito si era di recente rifornito di armi sul mercato con i ricavi della vendita del cacao. Lo stesso presidente Gbagbo aveva a più riprese dichiarato, riferendosi agli accordi di Marcoussis del 2003, di aver perso la battaglia ma non la guerra. Nel contempo, i ribelli si sono indeboliti e divisi, anche perché privati di molti finanziamenti che finora li avevano agevolati. L?occasione era troppo ghiotta per Gbagbo. Vita: Perché ha scelto la data del 6 novembre e non una prima? Dozon: Decisiva a mio parere è stata la vittoria di George W. Bush alle presidenziali. Vita: Scusi, ma che c?entra Bush? Dozon: Bush è un capo di Stato cristiano in guerra contro il terrorismo islamico. Ergendosi a rappresentante di un Sud cristiano in lotta contro un Nord musulmano, il regime Gbagbo compie un?identificazione politica e culturale con l?amministrazione Bush. All?indomani del fallito tentativo di colpo di Stato del 19 settembre, Gbagbo ha assimilato i ribelli del Nord protagonisti del golpe a dei terroristi. Inoltre, bisogna ricordarsi che all?indomani degli accordi di Marcoussis firmati in Francia, migliaia di Giovani patrioti, sostenitori di Gbagbo, organizzarono manifestazioni anti francesi molto violente invocando l?aiuto dell?ambasciata Usa per proteggere Gbagbo. Infine, l?entourage del presidente è composto da evangelici molto vicini ai loro omologhi americani. Non si può non citare l?evangelico Moise Koré, un consigliere molto influente della coppia e molto popolare in Costa d?Avorio che viaggia spesso negli Usa. Con la vittoria di Bush, Gbagbo si è sentito sufficientemente rafforzato sul piano psicologico per tentare di riconquistarsi il Nord. Vita: Altri parlano di un colpo di forza dei falchi del regime… Dozon: Questa è la mia seconda ipotesi. Infatti, il clan Gbagbo è attualmente frammentato. Da un lato, ci sarebbe un presidente sottoposto a grandi pressioni dalla Francia e dalla comunità internazionale, e dall?altro lato gli ultrà del regime, compresa la moglie del presidente, che vogliono instaurare un rapporto di forza con la Francia e i ribelli. Non so fino a che punto Gbagbo controlli la situazione. è possibile che il bombardamento del campo militare sia stato deciso dai falchi del regime. Ma quello che ormai mi preoccupa è il circolo vizioso che si è instaurato tra ribelli e il clan presidenziale. Vita: Che intende dire? Dozon: Prima dell?attacco, i ribelli guidati da Guillaume Soro si erano rifiutati di disarmare, così come previsto dagli accordi di pace, perché convinti che privi di armi sarebbero stati uccisi. Purtroppo, gli ultimi attacchi rafforzano, e molto, la loro tesi. Vita: Come spiega il fatto che oggi lo scontro oppone il Sud al Nord? Dozon: Per via dell?irruzione sullo scenario politico ivoriano negli anni 90 di Alassane Ouattara, un musulmano del nord assai popolare ma sospettato dai suoi nemici di avere origini burkinabé. Per tagliarlo fuori dalla competizione politica, Konan Bédié, al potere dal 93 al 99, ha promulgato un codice elettorale che impone ai candidati elettorali di avere entrambi i genitori ivoriani. Ne ha approfittato Gbagbo che, appropriandosi l?ideologia dell??ivoirité? istituzionalizzata da Bédié, ha sconfitto nelle presidenziali del 2000 il generale Guei, protagonista l?anno precedente della destituzione di Bédié. Ma le elezioni sono state boicottate dalla maggioranza degli ivoriani. E questo costerà a Gbagbo un colpo di Stato fallito nel settembre 2002 da ribelli che ancora oggi non riconoscono la sua vittoria elettorale . Vita: Quindi il nazionalismo ha un ruolo chiave? Dozon: Sì, ma sullo sfondo va ad agganciarsi su due altre questioni di fondamentale importanza: i movimenti migratori e le proprietà terriere. Torniamo alla regione natale di Gbagbo, Gagnoa. Questa si trova nel cuore della regione del cacao, di cui la Costa d?Avorio è il primo produttore mondiale. Fino agli anni 40, il cacao veniva prodotto nell?Est del Paese, dai baoulé, ma poi l?Ovest e successivamente il Sud-Ovest ne sono diventate le nuove aree produttive. A colpi di ondate migratorie intensificatesi dagli anni 50 in poi, baoulé dell?Est e stranieri provenienti dal Burkina Faso e dal Mali si sono installati nelle regioni occidentali comprando pezzi di terreno agli autoctoni. Questo processo è stato favorito da Houphouet, il cui motto era: «La terra appartiene a colui che la coltiva». Ma questa parola d?ordine liberale si è scontrata con la crisi economica scoppiata negli anni 80 e soprattutto con la politica di aggiustamento strutturale imposta dalle istituzioni di Bretton Woods. Di conseguenza, gli autoctoni hanno richiesto le proprietà precedentemente concesse. Dalla richiesta al conflitto aperto, il passo è stato breve, con l?avallo di politici come Gbagbo, deciso nel restituire le terre a coloro che le hanno coltivate per secoli. Vita: Eppure il mondo rurale è rimasto estraneo alle violenze degli ultimi anni? Dozon: Sembra essere rimasto al riparo di razzismi che hanno fatto breccia nel mondo urbano. Eppure, di ritorno al villaggio, i rappresentanti delle classi medie urbane caduti in disgrazia con la crisi economica, hanno tentato di convincere amici, parenti e leader locali che gli stranieri erano la fonte di tutti i mali. Per ora, quella ivoriana rimane una guerra urbana. E meno male, perché se s?infiamma il mondo rurale, è la fine.


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